domenica 7 marzo 2010

VANGULI !

Primi di novembre del fausto anno 1943: Taranto, base navale della potente marina italiana, quella che, senza bisogno della spinta guerrafondaia fascista, sotto il governo del pacifista Giolitti era considerata la quinta o sesta marina da guerra del Mondo. Ora, dopo la vergognosa “débacle” nella guerra a fianco di Hitler, testa di sbarco delle composite truppe delle Nazioni Unite che si preparano a risalire, senza alcuna fretta, lo stivale martoriato.

Da pochi giorni è rientrato da Malta un gruppo di siluranti con la bandiera tricolore: è un frutto della “cobelligeranza”. L’ 8 Settembre le nostre navi (quelle che ci sono riuscite) hanno riparato a Malta e vi sono rimaste in stato di blando internamento. Poi, da nemico sconfitto, l’Italia è diventata, appunto, cobelligerante: termine inusitato, coniato non so da chi; sembra comunque molto adatto alla storia e al carattere del nostro Paese, abituato alle situazioni equivoche. Non alleato con pieni diritti e doveri, dunque, ma solo aggregato che fa, sì, la guerra insieme ma entro certi limiti. Per cui, ad esempio, le corazzate restano a Malta o nei Laghi Amari con equipaggi ridotti mentre il naviglio leggero (quello che può servire come scorta convogli), torna in Italia per co-belligerare.

Chi scrive, per sua grande fortuna, era tra quelli che rientravano; adesso si trattava di “cobelligerare” nel modo più dignitoso possibile per dare un sia pur piccolo contributo alla liberazione di quella parte del disgraziato Paese rimasta sotto i neri labari della barbarie. Quindi immediata domanda di reimbarco; questo è avvenuto solo dopo una quindicina di giorni dalla domanda; ho evitato così di vivere le grandi miserie della nostra terra in quel periodo svolgendo anche un compito utile alla liberazione ed alla ricostruzione del Paese.

In attesa del nuovo imbarco sono stato alloggiato in Taranto vecchia presso una famiglia modesta, di cui ricordo con simpatia e gratitudine la correttezza e la civiltà. Come compagno di stanza avevo un altro “aspirante” guardiamarina, sbarcato dalla corazzata gemella della mia; era un giuliano e si chiamava (lo ricordo perché di nome non comune) Lapo. Come me, quindi, tagliato fuori dalla famiglia di cui non conosceva la sorte. Chissà se al ritorno avrà avuto anche lui la grande fortuna di ritrovare i suoi salvi e liberi; forse ha dovuto affrontare le altre difficoltà che ha passato la sua terra.

Tra una visita e l’altra al Comando Marina per chiedere delle nostre domande d’imbarco, passeggiavamo per la città vecchia e nuova, passando sul noto ponte girevole. Soldataglie di tutti i colori si aggiravano per i vicoli e sul lungomare affollando i pochi caffè aperti. Siamo entrati in uno di questi e ci siamo seduti ad un tavolino in un angolo ordinando un “cappuccino” (il latte era di capra ed il caffè di origine molto dubbia).

Il locale, quasi vuoto quando eravamo entrati, si è riempito di colpo all’arrivo di un gruppo di vocianti soldati neo-zelandesi, evidentemente appena sbarcati e in attesa di iniziare la campagna italiana. Non capivamo nulla delle frasi che si scambiavano, un pò per l’ignoranza della lingua inglese ma anche a causa del particolare “slang”. Tutto pareva rimanere tranquillo quando uno degli alti e possenti militari, discendente, probabilmente, da quei passeggeri che “viaggiavano gratis sulle navi di Sua Maestà Britannica” dai suburbi di Londra alle isole dei Maori, si è accorto della nostra presenza e delle nostre uniformi. Queste, anche se non stirate in modo perfetto, erano decenti completi invernali blu: ma le stellette e le corone sui berretti poggiati sul tavolino (eh, sì, c’era ancora il Re sabaudo) ci denunziavano chiaramente come ex nemici. Il bianco signore dell’Oceano Pacifico ha incominciato a fissarci sempre più intensamente; ad un certo punto si è alzato indicandoci con un braccio accusatore e prorompendo in un chiaro e forte “VANGULI! “. Allora altri compagni d’arme si sono uniti al suo sdegno aggiungendo a “vanguli” la domanda “compris?”.

Evidentemente, durante le campagne in Africa settentrionale e in Sicilia le conoscenze linguistiche dei nostri guerrieri si erano estese agli idiomi latini se pur con qualche incertezza.

Non ci sentivamo affatto tranquilli mentre il coro accusatore aumentava di intensità. Lapo ha provato a rispondere in tono educato: “No, non compris” senza ottenere alcun effetto. Subito alla nostra destra c’era una porticina semiaperta; mentre i nostri co-compagni d’arme (come si dice?) iniziavano l’avanzata muniti di bottiglie accuratamente vuotate (ed i cui effetti erano certamente una componente non trascurabile dell’attacco) abbiamo, di colpo, rovesciato il tavolino col piano di marmo e, al riparo di questa trincea improvvisata, siamo scivolati dentro la porticina chiudendocela alle spalle. Poi, coraggiosamente, siamo usciti nel vicolo dietro la casa dopo di aver attraversato la cucina e di esserci scusati per l’irruzione con i frastornati proprietari: non ci risulta che questi abbiano subito danni da parte dei liberatori.

Fin qui l’episodio, del tutto irrilevante nel quadro tragico del tempo. Ma , a distanza di 67 anni, mi risuona ancora all’orecchio l’offesa patita. In questi tempi, poi, di continuo autolesionismo, i “vaffa” (versione nostrana di “vanguli”) si sono moltiplicati. Sono epiteti domestici ma contribuiscono ad alimentare la disistima dell’Italia in tutto il Pianeta.

Perché questa cattiva fama? E’ un discredito permanente o si è verificato solo in determinati periodi della nostra storia? Tutti i popoli hanno avuto tempi più o meno felici; d’altra parte stiamo vivendo un’epoca di decadenza di tutta la cosiddetta civiltà occidentale, di cui certamente facciamo parte essendone stati uno dei due soci fondatori nell’antichità e costruttore quasi esclusivo nel Medioevo e nel Rinascimento.

Quando abbiamo cominciato a ricevere collettivamente ingiurie del tipo “vanguli”? Ho già esaminato questo problema indicando che la fama di doppiezza dell’Italiano (non importa se cittadino della Repubblica Veneta o del Regno di Napoli) risale fino al Rinascimento. Però allora ci veniva riconosciuta quasi da tutti una superiorità creativa e culturale. Poi la creatività è progressivamente diminuita insieme con l’assenza dalla gara per le conquiste coloniali, il ritardo nella nascita dell’industria e l’aumento delle differenze tra regione e regione per quanto riguardava ricchezza, cultura, sviluppo di ogni tipo. Così si è giunti, nel secolo XIX, alla definizione di “Paese dei morti”. Il risveglio, cui è seguita l’unificazione della penisola, è stato molto celebrato ma ogni giorno che passa si rivela sempre più incompleto e pieno di incubi.

1 commento:

  1. Mi piacerebbe solo sapere con quali appellativi un gruppo di italiani alticci avrebbe gratificato i neozelandesi, se fosse stato spedito dall'altra parte del mondo a combattere e a morire per una guerra inutile provocata da loro (dai neozelandesi, intendo).

    RispondiElimina