sabato 6 marzo 2010

RIMORSI - La zingarella

Il vagone della "mètro" (come dicono gli italiani) era pieno; come al solito, in piedi, seguivo le strategie migliori per garantire la minima interferenza con i miei simili e, nello stesso tempo, per dare loro il minimo fastidio. Di fermata in fermata effettuavo le mosse opportune per avvicinarmi alla porta più conveniente per la discesa. La gente parla poco, a Milano; la folla resta silenziosa tranne quando salgono comitive di tifosi che vanno alla partita, scolaresche in gita premio oppure, talvolta, strani gruppi di donne dell'Est europeo che si spostano da una stazione ferroviaria all'altra per raggiungere il luogo di lavoro. Parlano di più, non dico a Roma ma a Parigi o Madrid. Improvvisamente il silenzio viene rotto da una voce che, in un italiano, forse volutamente, stentato, chiede aiuto a nome di figli e mogli che hanno fame; per sottolineare la richiesta attacca un'improbabile canzone ad alto volume accompagnandosi con un'asmatica fisarmonica. Immediatamente la mia reazione di uomo d'ordine ("come si può consentire che, oltre ai graffitari e ai vandali, si debba sottostare a questi supplizi") mi fa voltare la testa verso il finestrino per non vedere il questuante che, ultimato il pezzo, passa con il cappello in mano e scende per cambiare vagone e ripetere tutta la scena.

Il nostro cervello è sempre in funzione e, soprattutto quando non è occupato in qualcosa di specifico, salta da un argomento all'altro con frequenza altissima, talvolta miscelando parecchi pensieri seza soffermarsi su alcuno. Forse, in circostanze simili le menti eccelse hanno la capacità di estrarre dal groviglio di temi che passano uno dietro l'altro più veloci di certi avvisi pubblicitari a lettere di fuoco, un pensiero che diventa fonte di ispirazione per creare opere somme. A me questo non succede ed il rumore di fondo resta tale fino a quando sopravviene la necessità di occuparsi di un argomento specifico.

Alla mia fermata, disceso senza problemi, ho intrapreso la salita alla superficie, osservando, come sempre, lo stato dei dispositivi tecnici (scale mobili e fisse, altoparlanti, servizi vari) e confrontandoli con quelli similari che conosco. Devo confessare che, pur proclamando la mia avversione per il trionfo della tecnologia, ammiro le "grandi opere" quando funzionano: nel mio intimo (ma non lo confesso) apprezzo di più il Golden Gate bridge, la Hauptbahnhof di Stoccarda o l'aeroporto O'Hara di Chicago che non la Basilica di S. Maria Maggiore.

Soddisfatto per non avere riscontrato gravi deficenze o sozzure, mi sono avviato per l'ultima scala (fissa) che porta all'emersione e ho guardato la luce del giorno che ne ornava la sommità. Una figuretta si stagliava contro il cielo. Era una bambina di 5 o 6 anni, infagottata in una giacchetta impermeabile e con un berrettuccio di lana in testa. Un braccino si propendeva verso chi saliva in un muto ma eloquente gesto. Nessuna madre o accompagnatore (o sfruttatore) era in vista. Intanto il segnale di attenzione ai problemi tecnici delle ferrovie sotterranee si era attenuato e il miscelatore aveva ricominciato il suo lavoro: il mio cervello si occupava nuovamente di tutto e di nulla.

Però, avvicinandomi alla bambina ho avuto un lampo di concentrazione che mi ha detto: "guarda, potrebbe essere la mia beneamata nipotina" per correggersi subito: "se io le do qualcosa chissà a chi gioverà". Uscendo dalla scala mi sono spostato dalla parte opposta e mi sono allontanato a passi rapidi mentre il miscelatore funzionava nuovamente in pieno. Dopo cento metri ho incontrato il solito barbone, seduto per terra e appoggiato con la schiena al muro di una casa. E' sempre lì, ad orario fisso e sparisce solo quando piove o nevica oppure durante la canicola di mezzo Agosto. Non chiede mai nulla, non stende la mano, forse medita? Ma su cosa? Anche il suo cervello funziona come il mio, chissà quale cocktail di pensieri si agita dentro la sua testa. Quando passo gli do qualcosa perché non chiede: mi ringrazia. Ma oggi funziona da trigger; un lampo: perché non mi sono fermato quando ho visto quella bambina che assomigliava a mia nipote? Non posso tornare a casa con questo peso!

Intanto cominciava a piovere; si faceva tardi, le luci si accendevano e la bruma cominciava a sfumare, togliendone l'ovvietà e la bruttezza, i contorni delle case, delle cose e delle persone. Torno indietro quasi di corsa: alla sommità della scala non c'è alcuna bambina. Scendo a precipizio le scale ed esploro ansioso il mezzanino; la folla che rientra dal lavoro si va ormai diradando, il bar è vuoto, alla rivendita dei giornali non c'è più nessuno. Con uno sforzo, vincendo la mia natura, chiedo al controllore dei tornelli se ha visto una bambina che chiedeva l'elemosina: "no, perché, le hanno rubato il portafoglio? Sa, ieri ci sono state molte denunce di borseggi; sono zingari che mandano avanti bambini addestrati. Sono bravissimi. Lei dovrebbe sporgere denuncia; non serve a nulla, ma……"

Risalgo nella via; ormai è buio; mi sento solo e vuoto di tutto fuorché di rimorsi.

Un rimorso per un atto non compiuto che solo a posteriori ho considerato giusto, meritevole di un minimo sacrificio, richiama una moltitudine di rimorsi: quelli per avere offeso altri esseri o per non aver speso una parola per consolare o per chiedere perdono. Peccati di omissione, spesso, come dicono i preti, non meno gravi di altri.

E sì, quando si ripresenta questa torma di mostricciattoli che mordono la coscienza come quelli dei quadri di Brueghel, tutto quel poco di buono che si crede di aver fatto nella vita diventa meschino e inutile. C'é solo da augurarsi che il rumore di fondo riprenda e che il miscelatore cancelli questo molesto e insistente segnale.

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