giovedì 8 aprile 2010

Una “grande opera”: La storia infinita del Ponte sullo Stretto di Messina

Come tante altre vicende italiane anche questa viene regolarmente ripresentata ogni quarto di secolo all'attenzione dei cittadini e forma materia di acceso dibattito politico senza mai trovare una realizzazione.
Ritengo di poterne parlare, come si dice, con "cognizione di causa", perché, non un quarto di secolo fa ma addirittura nel 1955, sono stato responsabile di uno studio geofisico commissionato dalla Regione Siciliana alla organizzazione per cui lavoravo. L'indagine avrebbe dovuto condurre, in tempi brevi, alla definizione del progetto ed alla costruzione del ponte.

Ricordo che il mio innato pessimismo mi portava alla seguente, intima, considerazione: "un'opera di questa mole, tenuto conto delle condizioni al contorno, non è assolutamente prioritaria. Tuttavia, siccome per iniziare la fase di realizzazione bisognerà attendere almeno una diecina d'anni, facciamo pure lo studio: nel 1965 l'opera, forse, potrà essere considerata necessaria".

Ed io non ero neppure il primo ad occuparmene: nel 1942, cioè in piena guerra, quando già si profilava l'invasione e la sconfitta, l'ANAS aveva effettuato un'indagine sulle sponde dello Stretto i cui risultati sono, poi, andati dispersi. Ma il problema si discuteva in Parlamento fino dai tempi di Giolitti quando un deputato, non so bene di quale parte politica, esprimeva un giudizio negativo sul problema, dicendo che non gli sembrava conveniente un'opera del genere per "trasportare attraverso lo Stretto qualche cesta di arance".

Torniamo all'indagine geofisica del 1955. Il nostro studio si basava sul primo progetto preliminare che prevedeva la posa di due piloni sul fondo dello Stretto (per intenderci, come per il ponte del Golden Gate). Il quesito posto era sostanzialmente la determinazione dello spessore e della natura dei sedimenti e del "basamento cristallino" in corrispondenza sia delle sponde che dello Stretto stesso.

Malgrado le difficoltà rappresentate dalla complessa situazione geologica e, nelle profonde acque dello Stretto, dalle fortissime correnti e considerando anche i limiti delle tecnologie disponibili allora, i risultati hanno consentito di valutare chiaramente spessore e proprietà meccaniche delle formazioni geologiche. Queste ultime risultano molto scadenti fino a notevole profondità non solo per quanto riguarda i sedimenti ma anche il "basamento cristallino" che risulta fortemente alterato fino a parecchie centinaia di metri sotto il piano di campagna e sotto il fondo dello Stretto. I progetti successivi, a quanto pare, hanno abbandonato l'idea dei piloni nello Stretto, dove, oltre alle condizioni geotecniche sfavorevoli, la notevole profondità dei fondali (circa 150 metri) e le fortissime (e variabili) correnti renderebbero molto difficili i lavori.

Il progetto della campata unica, tuttavia, porta ad una gravissima conseguenza: come parecchi tecnici fanno osservare, la campata risulterebbe troppo lunga per consentire, in condizioni sempre sicure, l’ attraversamento ferroviario. Questo mi sembra un punto essenziale; non risolvere compiutamente il problema delle rotaie sarebbe veramente un argomento a favore dei contrari. D'altra parte la resistenza del lungo ponte sospeso risulterebbe minore nel caso di un grande evento sismico.

Bisogna dire tuttavia che i problemi tecnologici, se affrontati in modo corretto, sono ormai tutti (o quasi) superabili. Ciò che, invece, non sembra superabile è l'eterna e sempre acrimoniosa discussione di questioni che non vengono mai affrontate in modo serio, forse perché nessuno ha questa intenzione. E' possibile che i contendenti pensino di ricavare un qualche utile dal protrarsi della polemica.

Tornando al ponte, due "scuole di pensiero" si affrontano da più di un cinquantennio:

- la prima (contro) sostiene che il ponte, se costruito senza che si siano realizzate le necessarie "infrastrutture", rimarrà come un orrendo monumento allo spreco ed alla corruzione, e costituirà unicamente una grave offesa per l'ambiente.

- La seconda (i favorevoli) sostiene che questa "grande opera" innescherà la realizzazione di ciò che manca (le "infrastrutture") e darà una spinta alla modernizzazione del Sud.

E' certo che il rischio paventato dai contrari, visti i tanti precedenti italiani, è molto forte. Per lo meno occorrerebbe iniziare subito a lavorare sulle infrastrutture. L'aspirazione a realizzare "grandi opere" prima di sistemare decentemente l'esistente attraverso un migliore equilibrio delle risorse e dei servizi (vedi il problema dei trasporti su gomma, su rotaia e per mare) mi ricorda i vari "exploits" del ventennio, vantati come "realizzazioni del genio italico": l'aereo più veloce del mondo gli elettrotreni, i transatlantici, tutti i più veloci del mondo, punte isolate usate dal regime per "épater les bourgeois".

Malgrado tutto, però, il vecchio che sono io non nega che gli farebbe piacere attraversare lo Stretto in cinque minuti, comodamente seduto in un vagone ferroviario, guardando dall'alto Scilla, il lago di Ganzirri ed i piccoli pescherecci a caccia del pesce spada.

Mi consentano gli ambientalisti di non essere d'accordo con loro su di un punto: queste grandi opere non tolgono ma aggiungono bellezza al paesaggio. Come apparirebbe la stretta del Gard senza il bimillenario acquedotto di Augusto? E il Golden Gate, dove la bellezza dell'ambiente non è certo inferiore a quella dello Stretto di Messina, come sarebbe senza la maestosità del ponte?

A proposito del Ponte: “Tutti i pesci vennero a galla”……una storia di 55 anni fa.

Uno stretto braccio di mare. Le rive sono verdi ma le sovrastanti montagne appaiono brulle e sassose. Dalla parte dove sta calando il sole la costa è più bassa: c’è una serie quasi ininterrotta di paesi fino ad una punta ornata da un faro. Qui, a settentrione, le due rive si avvicinano tanto che sembra abbiano voglia di toccarsi ma più oltre si indovina il mare aperto e libero. A sud, invece, le sponde si allontanano sempre di più fino a lasciarsi.

Sulla riva occidentale la striscia di terra bassa è separata dalle colline da un paio di laghetti. Un bambino, armato di secchiello e paletta, gioca con la sabbia sulla riva. Ogni tanto si arresta per fissare il movimento delle acque: sono calme, trasparenti e di un colore invitante, verde-azzurro, non si vedono quelle onde e quei frangenti che, su altre spiagge, gli fanno tanta paura. Però c’è qualcosa di misterioso che, nello stesso tempo, attrae e incute timore: vicino alla riva si forma un gorgo che sembra poter risucchiare ogni cosa nel profondo. Papà, che è molto coraggioso, ieri gli ha mostrato cosa succede: si è tuffato in un punto e, senza muovere neppure un dito, è stato velocemente trasportato dal mare lungo la costa; è stato attento però a rimanere vicino a riva per non venire inghiottito dal gorgo. In quel momento, però, il bimbo ha visto un altro fenomeno: il mare si è messo a combattere contro se stesso; ribollendo e schiumando, la corrente ha invertito il corso e la barchetta di carta che lui aveva messo in acqua, è stata trascinata in direzione opposta, verso il lontano faro, ed è scomparsa.

Da migliaia di anni altri bambini hanno certo fatto simili esperienze. Anche oggi tanti bimbi giocano sulla spiaggia. Ogni tanto qualcuno di loro si avvicina allo “straniero” (così appare a loro a causa del suo vestire e di come si esprime) e scambia qualche parola: la conversazione è un po’ difficile perché i termini usati per indicare le stesse cose sono diverse. Ma i gesti suppliscono alle difficoltà linguistiche.

Ora accade un fatto nuovo: arriva un ragazzetto con nelle mani due grossi pesci e li offre allo “straniero”: sono proprio freschi, si agitano ancora. Ma subito dopo segue un altro ragazzo, anche lui con due pesci; indica il mare; la corrente sta portando verso la riva un gran numero di pesci: tutti galleggiano con la pancia in aria:

“Apelle, figlio di Apollo, fece una palla di pelle di pollo e tutti i pesci vennero a galla………”

Ma Apelle non c’entra. Nello stretto c’è grande agitazione, adesso: si vedono tante barche, quelle con l’albero dove monta l’uomo in vedetta per avvistare il pesce spada, che stanno circondando un natante più grosso. Cosa è successo? I ragazzotti dicono: “Scoppiarono nel mare e i pesci morti sono!”

Il bimbo non lo sa, ma la mamma sì: è colpa di papà che fa i botti in mare per studiare come è fatto il fondo; gli hanno dato l’incarico di vedere se la roccia sommersa è forte abbastanza per sostenere due enormi piloni di appoggio ad un grande ponte che colleghi le due rive, il ponte sognato da secoli che, unendo la grande isola al continente, porterà ricchezza e lavoro a tutti.

Ma i pescatori non hanno apprezzato la pesca miracolosa: protestano e minacciano vendetta bloccando la navicella degli investigatori con tutti i loro strani apparecchi.

La mamma ringrazia i bambini e dice “tenetevi questo buon pesce e portatelo a casa”. Prende il suo piccolo che vorrebbe restare e cerca di trascinarlo via: si sente anche lei oggetto di quella protesta e, in qualche modo, dalla parte dei responsabili di quella strage di innocenti. Il bimbo resiste e fa capricci; la madre lo prende a forza e se lo carica sulle spalle mentre gli strilli arrivano al cielo. Quando raggiunge la strada si arresta per riposare: l’assembramento delle barche si sta già rarefacendo. Evidentemente qualcosa o qualcuno ha rapidamente ed efficacemente operato per “sgonfiare” la protesta. Si vede già la motolancia della Capitaneria che riparte e mette la prua verso il porto, più a sud. Ritorna la calma e le ricerche riprendono.

La giovane mamma pensa: “Poveri pesci e poveri pescatori, tutti fanno sacrifici: ne varrà la pena ?”

E’ questa la domanda, che, soprattutto nel nostro Paese, si rivolgono ossessivamente tutte le persone oneste che si accingono ad affrontare un nuovo o vecchio ma irrisolto problema, piccolo o grande che sia.

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